L’approccio cognitivo-zooantropologico

L’approccio cognitivo-zooantropologico considera ogni cane nella propria individualità, con il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze. Non è un metodo perché non si limita ad utilizzare delle tecniche o delle prassi di lavoro, ma è un approccio, in quanto parte dallo studio globale del profilo comportamentale del soggetto; non si vogliono raggiungere delle performance, ma aumentare il benessere del cane come soggetto integrato e consapevole.

Ogni percorso pedagogico sarà costruito su misura ed assolutamente soggettivo.

Approccio cognitivo significa capire che il comportamento del cane nasce da una serie di componenti presenti nella mente del soggetto e non per una reazione ad uno stimolo; significa considerare l’intero universo interiore mentale del cane: le emozioni, le motivazioni, lo stato di attivazione emozionale, le rappresentazioni innate ed acquisite e le capacità logiche e cognitive.

Il benessere del cane è inteso considerando tutte queste componenti e l’intervento pedagogico non potrà che seguire una logica sistemica. Si analizzeranno eventuali carenze o eccessi e si lavorerà per far raggiungere al cane un maggiore equilibrio, cercando di raggiungere il punto di contatto tra le esigenze etologiche, di specie, motivazionali e le possibilità offerte dal contesto ambientale e relazionale.

Approccio zooantropologico significa vedere l’obiettivo pedagogico nella valorizzazione della relazione con il proprietario attraverso una consulenza relazionale. Si agisce sulla relazione attraverso la relazione. Proprio per questo motivo non ci incontreremo nel classico campo di addestramento ma nel contesto familiare nel quale il cane vive quotidianamente.

Il nostro obiettivo non è far assumere al cane una forma o insegnargli a svolgere degli esercizi o delle abilità in un’ottica antropocentrica, che considera solo le esigenze del proprietario, ma cercare di capire quali sono le dimensioni di quella relazione e come migliorare il benessere di entrambi, cane e proprietario, in una visione cinocentrica. Le consulenze saranno quindi a domicilio.

Credo sia opportuno quindi sottolineare alcune differenze tra l’approccio addestrativo e l’approccio cognitivo-zooantropologico.

L’addestramento vuole dare al cane delle abilità per raggiungere delle performance, espressione il più delle volte di nostre esigenze, ed insegna al cane a fare delle cose, delle attività.

Nell’approccio CZ cerchiamo di capire chi è quel cane, come migliorare il suo benessere come individuo, rendendolo maggiormente consapevole di sé ed autonomo nell’ambiente in cui vive; cerchiamo di capire quali sono le attività che vorrebbe svolgere, e gli diamo gli strumenti per poter scegliere in autonomia il comportamento più adeguato di fronte ad una situazione, così può essere libero di esprimere se stesso con consapevolezza.

Per esempio non ci interessa che un cane sia sottoposto al controllo proprietario ma che un cane riesca ad autocontrollarsi. Nell’addestramento il cane assume una forma, fa una performance dietro un comando, ma uscito dal campo di addestramento, in situazioni di vita quotidiana, chi è quel cane? e quali sono le sue azioni ed i suoi comportamenti quando non c’è il controllo del proprietario? Probabilmente il cane non avrà i giusti strumenti per interpretare correttamente le situazioni, ed a volte non avrà neanche il giusto assetto emozionale e di arousal (quanto il cane è attivato in una situazione) per integrarsi con serenità nelle diverse situazioni.

Cercare di far raggiungere al cane un autocontrollo, ossia un controllo interiore e consapevole, significa prima aver agito sulle sue componenti mentali ed aver dato al cane le corrette rappresentazioni del contesto dove vive per farlo diventare consapevole ed autonomo. I cani competenti sono cani che vivono le situazioni con il proprietario con serenità perché decifrano e capiscono il mondo circostante, e quando non è così, sanno di avere un referente umano che può aiutarli in questo ed al quale far riferimento. Per esempio sviluppando il suo autocontrollo, il cane può imparare ad andare libero in città o comunque, se a guinzaglio, questo può essere usato come strumento di sicurezza e non di conduzione perchè, stando attenti ai suoi bisogni etologici e motivazionali e sviluppando una maggiore riflessività, si riesce ad avere un allineamento con il nostro cane ed una maggiore collaborazione.

Un cane addestrato è un cane che è bravo a svolgere delle attività dietro comando del proprietario, non viene preso in considerazione chi è quel cane, ma spesso solo quello che il proprietario vuole che quel cane sia. Con questo non vogliamo dire che non sia importante che il cane sappia svolgere delle attività, anche dietro richiesta del proprietario, ma non prima di un percorso pedagogico per renderlo equilibrato e felice. Solo dopo aver raggiunto una buona coesione caratteriale di quel soggetto si può pensare di insegnare al cane delle abilità.

Inoltre la relazione nell’approccio addestrativo è spesso una relazione basata su continue richieste che il proprietario fa al cane, nel nostro approccio vengono prese in considerazioni anche le proposte che il cane fa al proprietario (a volte è il cane che in effetti ha l’idea migliore!), così la relazione con il proprio amico a quattro zampe diventa un modo per imparare a cambiare prospettiva ed è un’occasione di crescita… per entrambi! La passeggiata diventa a sei zampe ed il cane ci trasporta un po’ nel suo mondo, ci riavvicina alla natura, diventiamo attenti ai rumori, ai suoni, alle posture, alla gestualità, ed impariamo a dare importanza ai momenti in cui il cane annusa e marca; al tempo stesso, sentendosi considerato e diventando più sereno, il cane impara a tenerci più in considerazione ed a prenderci come guida durante la passeggiata.

Infine un’altra differenza importante è quella metodologica. Nell’approccio CZ il premio arriva in modo inaspettato dopo che il cane sceglie in autonomia, riflettendo, la soluzione più adeguata a quella situazione, non agisce dietro ricompensa, ed il premio non viene usato per “tirare” il cane nello svolgere un esercizio, mettendoglielo davanti al muso. Un premio usato così fa perdere al cane la consapevolezza di quello che sta facendo, meccanicamente assume delle forme ma tutta la sua mente è concentrata sul desiderio di mangiare quel gustoso bocconcino davanti al suo muso. Il premio è un premio non è un baratto!

Inoltre questo non è sempre necessariamente alimentare, questo perché si considera tutto il panorama motivazionale del cane, e per il cane può essere un premio andare a fare una passeggiata insieme al proprietario o ricevere da lui un apprezzamento sociale. Anche quando si insegna qualcosa si cerca di far passare il concetto operando degli slittamenti motivazionali, coinvolgendolo a livello motivazionale ed uscendo dalla fase orale incentrata tutto sul bocconcino.